Il risanamento delle aziende in crisi è uno dei momenti della vita aziendale più ardui da affrontare, specie da parte di imprenditori e manager che hanno avuto successo durante la loro carriera lavorativa. Il percorso da affrontare è duro e carico di insidie e richiede una prospettiva di pensiero e di azione peculiare nonchè un bagaglio di competenze e conoscenze che esula dalla consueta formazione ed esperienza gestionale del business. Albert Einstein affermava: ”I problemi non possono essere risolti applicando la stessa struttura di pensiero nella quale sono stati generati”. In altri termini: se sei parte del problema, non puoi essere parte della soluzione!

Per questo motivo, il supporto di un team specializzato in soluzione delle crisi d’impresa, composto da solidi professionisti (advisor strategici, finanziari e legali ed attestatori) e da esperti manager d’impresa (CRO – Chief Restructuring Officer – e turnaround manager), unitamente alle procedure di conservazione delle attività di impresa e di protezione dai creditori (giudiziali ed extra-giudiziali) consentono di superare con tempestività il fatidico momento di impasse gestionale e di evitare il rischio di collasso finanziario, avviando i necessari percorsi di tutela del patrimonio sociale in concomitanza alle misure di recupero competitivo ed economico d’impresa.

E’ singolare come nella pratica professionale delle ristrutturazioni (turnaround management) e dei salvataggi aziendali (business rescue), spesso si assista all’ingaggio di attori sia professionali che manageriali che non posseggono le indispensabili credenziali per assicurare sostegno all’impresa e adeguate chance di successo agli stakeholder. Personalmente, ricordo il caso curioso di un imprenditore che nella sua precedente carriera era già “fallito tre volte” e che in quanto esperto di elusione di procedure di esecuzione, trafugamenti di attivi e bancarotte fraudolente, erogava le sue prestazioni (a caro prezzo) in qualità di consulente agli sprovveduti avventori che gli capitavano sotto tiro. Come si dice … quando la fama ti precede!

Metaforicamente, i processi di risanamento delle aziende in crisi sono “Campi minati”! E’ sempre meglio non entrarci o se proprio non si vuole o non se ne può fare a meno, meglio farsi accompagnare da un esperto “Artificiere” (possibilmente seguendone le orme!). Infatti, diverse possono essere le circostanze e gli attori che possono far saltare in aria l’azienda e compromettere il risanamento in corso. A titolo indicativo, ma non esaustivo, eccone una breve disamina:

  1. Il mancato supporto degli azionisti

Assicurarsi il costante e vigoroso supporto da parte degli azionisti è fondamentale per rendere credibile il processo di risanamento aziendale e per non lasciar degradare ulteriormente la situazione. La tentazione di mollare tutto o di salvare il salvabile, per vie legali o meno, da parte di chi ha già investito e perso tutto o parte del proprio capitale, è fortemente suasiva, proprio come il canto delle sirene. L’unica via per contrastarla è costituita dalla credibilità di una rinnovata leadership aziendale, dalla vigorosa azione di blocco della emorragia finanziaria (crisis management) e dalla solidità granitica di un piano industriale di rilancio aziendale.

  1. Il mancato consenso dei creditori

Mantenere tranquilli e controllabili i creditori, di qualsiasi specie essi siano, è un arte! Disarmare le azioni esecutive in corso, creare un consenso generale attorno ad un piano di riscadenziamento del debito e talvolta di conversione o defalcazione del medesimo, stimolare l’erogazione di nuova finanza da parte delle banche per sostenere la ristrutturazione ed avviare il rilancio, richiede un massiccio patrimonio di credibilità e straordinarie competenze negoziali. Il professionista incaricato, nei casi in cui l’azienda non sia insolvente, dovrà ricorrere a tutti gli istituti e strumenti di protezione a sua disposizione, sia al di fuori e sia all’interno della procedura concordataria pubblica, per mettere in sicurezza l’azienda da presenti e future aggressioni legali, contrastando tramite ricognizioni e attestazioni anche le possibili istanze di dichiarazione di fallimento.

  1. Il mancato sostegno dei lavoratori e dei sindacati

Nulla è più demotivante che ritrovarsi a bordo di una nave che imbarca acqua e sbatacchiata dalla tempesta nei flutti del mare. Si lavora e vive senza alcuna certezza per il futuro, per la carriera e spesso di remunerazione. Perché rimanere, se si possono cogliere migliori opportunità all’esterno? Perché affannarsi se non vi è alcun premio in vista? “Vi prometto solo sudore, lacrime e sangue” direbbe il combattivo statista Churchill. Un discorso di altri tempi. Poco in uso nella nostra epoca e cultura! Eppure non meno attuale e necessario! Solo un manager di grande carisma, acume politico, brillanti doti comunicative ed immacolata illibatezza rispetto al precedente corso gestionale, può tenere unità la nazione-azienda e sospingerla verso la vittoria finale passando attraverso i perigli della demotivazione e dell’opportunismo. Proprio come fece il buon Winston!

  1. Il mancato sostegno dei partner di filiera

Non è affatto semplice convincere i fornitori a consegnarti nuove partite di merce di cui necessita il processo produttivo per andare avanti, quando dall’altro lato non gli si pagano le fatture delle consegne precedenti! Non è altrettanto agevole ritenere clienti, partner strategici o della distribuzione ed ausiliari del commercio quando le relazioni sono incrinate e l’instabilità funzionale della tua azienda rischia di mettere a repentaglio i loro affari e le loro prospettive di guadagno e crescita. Credibilità professionale, abilità relazionali e negoziali, segni tangibili che ci si crede e si vuole andare avanti e il certo e spedito mantenimento di ciò che si promette, sono i fattori imprescindibili per mantenere incollati clienti e partner di filiera sino alla uscita dal tunnel.

  1. L’aggressione mediatica o politica

La crisi di una azienda ben reputata, con tutte le implicazioni sociali ed economiche che ne possono conseguire, è un bersaglio estremamente facile da trafiggere da media assatanati di scoop sensazionali. Se poi trattasi di una azienda pubblica o para-pubblica … ale-hop la cena è servita! Una schiera di politici e politicanti alla ricerca di visibilità, consenso e talvolta bottini, non mancherà certo di farsi avanti per stigmatizzare ogni tipo di comportamento non ortodosso o realmente o presuntivamente scandaloso, spesso dimentichi del fatto che loro stessi possono essere stati gli artefici delle scelte amministrative o delle omissioni di vigilanza. Comunicare con la indomita sagacia di uno Spin-Doctor ed assicurarsi l’appoggio degli opinion leader e opinion maker per debellare la controinformazione ed evitare che la strumentalizzazione trasformi l’azienda in carne da macello.

6. La crisi reputazionale

A volte è provocata dai media, ma sovente li precede sulle ali del passaparola che sgorga come un acqua oligominerale dalla sorgente di montagna. La crisi reputazionale è pervasiva e percorre tutta l’opinione pubblica. Occorrono decenni per costruire una buona reputazione ma bastano pochi attimi per annientarla. E’ una delle sciagure peggiori che possano accadere in azienda. Per ripristinarla, occorre lavorare seriamente su più fronti. Una massiccia campagna comunicazionale non basta. Occorre avviare un drastico cambiamento del sistema di credenze, di pensiero e di comportamento in azienda. In taluni casi bisogna anche spingersi più a fondo. Sino ad incidere sul nucleo interno del codice etico e dell’assetto valoriale delle persone e della organizzazione. L’esperto delle crisi d’impresa deve quindi possedere la corazza di un panzer ma l’equilibrio di un funambolo. Deve essere illibato come una vergine ma navigato come un nostromo dei sette mari. Un cocktail di temperamento e professionalità che non servono tutti i bar!

Dalmazio Zolesi per ProINVESTO.IT

Managing Partner di Helvia Fiduciaria

Docente di Strategia Aziendale agli Executive Master della SUPSI – Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana